Il castello di Manta
Accesso: provenendo da Torino, percorrere la sr 20 fino a Saluzzo, quindi proseguire per 4 km sulla sp 589 in direzione Cuneo. Giunti nell’abitato di Manta, svoltare a destra in Via Roma, successivamente a sinistra in Via De RegeThesauro fino a raggiungere la pedonale con annesso parcheggio, che conduce al castello.
Il castello della Manta, non lontano da Saluzzo, ad un primo sguardo dall’esterno non rivela caratteristiche architettoniche spettacolari o scenografiche tali da destare meraviglia, anzi, ad un primo colpo d’occhio il visitatore potrebbe anche rimanere deluso dall’aspetto ordinario del manufatto. Ma non tema, quel visitatore: quel che lo aspetta all’interno lo ripagherà con gli interessi.
Il nucleo originario di questo castello risale al XIII secolo, tuttavia successivi interventi di ampliamento, con varie sovrapposizioni, ne determinarono l’aspetto attuale.
Nei primi anni del ‘400 vennero compiute le opere edilizie più rilevanti, ad opera di Valerano, figlio naturale del marchese di Saluzzo Tommaso III e capostipite della casata Saluzzo della Manta.
Successivamente, nel corso del ‘500 vari discendenti dei Saluzzo della Manta espansero notevolmente la struttura: Michele Antonio aggiunse l’edificio in cui si apre il portale ogivale di ingresso, Valerio e il cugino Michele Antonio aggiunsero le maniche a ovest e a nord est.
A partire dal primo seicento per il castello iniziò un periodo oscuro che perdurò fino a metà ottocento, quando i Radicati di Marmorito, nuovi proprietari del maniero, ne recuperarono buona parte, ma non la manica di nord est, che si presentava in condizioni di degrado tale da dover essere abbattuta.
Questi interventi trasformarono gradatamente il castello da piazzaforte medievale in palazzo signorile.
Il castello passò quindi ai Provana e nel 1984 la contessa Elisabetta De Rege Thesauro di Donato Provana del Sabbione lo concesse in comodato d’uso al FAI Fondo Ambiente Italiano.
In questi anni il FAI ha operato un deciso lavoro di restauro, riportando il complesso all’antico splendore, in particolare nelle due sale affrescate, aprendo poi la struttura al pubblico.
Superato il portale ogivale, ci si trova nel cortile. A sinistra si trova la tinaia, a destra lo scalone che porta agli appartamenti, che consta di due rampe. Nella seconda vi è l’apertura che porta alla grande cucina, dotata di un notevole camino e di un pozzo.
Al piano nobile, a destra, si trova la “sala delle grottesche”, un grande salone la cui denominazione deriva dalle decorazioni che lo ornano.
Segue la “sala baronale”, che racchiude un ciclo pittorico di straordinaria importanza oltre che bellezza, essendo annoverato tra le più meravigliose testimonianze della pittura profanatardogotica.
All’interno del complesso sono visitabili anche la Chiesa Castellana, con due opere di interesse artistico: gli affreschi dedicati alla vita di Gesù Cristo, coevi di quelli che ornano la sala baronale, e la cappella funeraria di Michele Antonio Saluzzo della Manta, con decorazioni a stucco e pitture di gusto manieristico.
La sala baronale e i suoi affreschi
Il locale ha pianta rettangolare.Sul lato corto a ovest vi è un grande camino su cui è riportato il motto “leit”, esortazione a sopportare avversità e sofferenze, che compare anche nei cartigli del soffitto a cassettoni; sul lato lungo verso sud tre grandi finestroni si aprono verso la pianura e danno luce al ciclo pittorico di rara bellezza che si sviluppa tutt’intorno.Sulla lunga parete nord si ammira una sfilata di nove eroi e nove eroine appartenenti alla mitologia classica e alla letteratura biblica, abbigliati però secondo i dettami del quattrocento.
I personaggi, riprodotti a grandezza quasi naturale, sono posizionati su di un prato fiorito, separati da un arbusto che sorregge uno scudo con lo stemma del personaggio e ai piedi ciascuno di loro ha un cartiglio che ne descrive brevemente le gesta.I personaggi, esempi di virtù ed eroismo,che secondo un’interpretazione non provata, rappresentano i primi nove marchesi di Saluzzo e le rispettive consorti, sono: Ettore (Valerano), Alessandro Magno (Tommaso III), Giulio Cesare (Federico II), Giosuè (Tommaso II), David (Federico I), Giuda Maccabeo (Manfredo IV), re Artù (Tommaso I), Carlo Magno (Manfredo III) e Goffredo di Buglione (Manfredo I), non a caso tre pagani, tre ebrei e tre cristiani, e sono accompagnati da Delfila (Eleonora di Arborea), Sinope (Alasia di Monferrato), Ippolita (Beatrice di Savoia), Semiramide(Aloisia di Ceva), Etiope (Beatrice Visconti), Lampeto (Riccarda di Sicilia), Tamaris (Beatrice di Ginevra), Teuca (Margherita di Roucy) e Pentesilea (Clemenzia Provana di Pancalieri, moglie di Valerano, volto e parte superiore della figura andati perduti per un crollo di intonaco). La coppia Valerano- Clemenza, committenti dell’opera, è l’unica ad avere un’identificazione certa e documentata, le altre sono ipotetiche.
Questi personaggi trovano corrispondenza nel poema cavalleresco “Le chevaliererrant”, scritto dal marchese di Saluzzo Tommaso III tra fine ‘300 e inizio ‘400, in cui viene raccontato il percorso di graduale ravvedimento di un uomo dalle gioie mondane. In questo percorso incontra personaggi famosi di ogni epoca, gli stessi rappresentati nel ciclo pittorico della sala baronale del castello.
Sulla parete sud,a movimentare la scena, vi è la raffigurazione della Fontana della Giovinezza, suddivisa nei tre momenti: dapprima il corteo degli anziani imperatori, vescovi, regine e gente di ogni rango verso la fontana, quindi la spogliazione, la scalata degli alti bordi della vasca, il bagno nella fonte rigeneratrice ed infine l’uscita dalla vasca con la riacquistata gioventù, la vestizione con abiti preziosi ed il corteo festoso che si allontana dalla fontana.
Sulla parete opposta al camino, infine, dopo la conclusione del ciclo delle eroine, vi è una nicchia con alcune rappresentazioni sacre: al centro la crocefissione con la madonna e San Giovanni Evangelista, ai lati san Giovanni Battista e San Quintino.
Il ciclo risale agli anni tra il 1416 e il 1420, quando Valerano, il committente dell’opera, raggiunse l’apice della sua carriera politica, divenendo reggente del marchesato di Saluzzo.
L’autore dell’opera, invece, a tutt’oggi è sconosciuto e viene genericamente citato come il Maestro della Manta.
La Sala delle Grottesche
Il nome di questa sala deriva dal particolare tipo di decorazione, di origine romana dell’epoca augustea, riscoperta a fine quattrocento e utilizzata nelle decorazioni delle residenze nobiliari.
Nel caso specifico si fa risalire la decorazione di questa sala agli anni intorno al 1560, quando Michele Antonio Saluzzo della Manta fece realizzare il suo appartamento di rappresentanza, che comprende appunto anche la sala delle grottesche.
Splendido esempio di tardo manierismo piemontese, le decorazioni a grottesca si ritrovano nella volta. Al centro del soffitto è raffigurato il carro infuocato del profeta Elia condotto in cielo,mentre ai fianchi sono dipinti due ovali: il primo contiene tre putti con mitra, spada e corona d’alloro, i simboli del potere temporale e religioso, mentre il secondo, assai curioso, riporta la rappresentazione del globo terraqueo. La curiosità sta nel fatto che il mappamondo riporta i cinque continenti comprese le Americhe, a quel tempo poco conosciute, e l’Antartide, il cui contorno è ripassato in verde, quasi a significare che secondo la credenza dell’epoca quel territorio non fosse ricoperto da ghiacci perenni.
Nelle lunette del soffitto sono rappresentati edifici cinquecenteschi e pittoresche rovine, mentre i dodici ovali frapposti alle lunette riportano allegorie delle virtù con relativi motti.
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