Il Caposaldo “Abries” era il principale sbarramento sul quale si incentrava la difesa della Val Germanasca, in quanto l’omonimo colle costituiva l’unica via d'accesso praticabile da truppe francesi per superare il confine. Lo studio del Genio militare di Torino del 1938 prevedeva la costruzione di ben 11 centri di fuoco, oltre a due ricoveri per truppe. I lavori iniziarono nello stesso anno e furono affidati all'impresa Bartoni. Alla fine del 1938 erano ufficialmente terminati gli scavi delle opere 2, 3, 6 e del ricovero I. L’anno successivo iniziarono i lavori anche per le altre strutture, ma furono presto sospesi, in quanto lo Stato Maggiore comunicò al Genio di Torino che stava rivedendo tutta la struttura difensiva della zona. Alla fine del 1939 risultavano stesi i reticolati di filo spinato da sotto il Colletto Gran Guglia fino al Col d’Abries Vecchio.
All'inizio del 1940 fu compilato un progetto di massima per adeguare alla circolare 15000 le opere progettate per le quali erano stati eseguiti solamente gli scavi, “considerato che l'organizzazione difensiva sulla linea di confine può essere sottoposta all'azione di artiglieria di medio calibro, e che il Colle di Abries costituisce una linea di penetrazione di una certa importanza”. Al momento dello scoppio del conflitto con la Francia, nel giugno del 1940, le opere difensive del Colle d'Abries erano senza impianti interni, senza armamenti e di conseguenza non presidiate dai soldati. A settembre risultavano quasi completate le opere 2, 3 e 6, l’opera 4 era invece ancora in costruzione, mentre delle opere 5, 7 e 8 erano appena iniziati gli scavi. Risultavano in corso anche i lavori per il ricovero VIII (Gran Guglia), mentre erano terminati il ricovero I e la mulattiera che saliva da
Pian Littorio passando dai Piani di San Giacomo, compresa la diramazione per
Punta Cerisira.
Tutte queste opere non si sono salvate dalle regole imposte dal Trattato di pace del 1947 e sono state fatte saltare nel 1948, tanto che attualmente risulta in alcuni casi addirittura difficile la loro rilevazione sul terreno. I segnali che possono aiutare l'escursionista, che risale il sentiero verso il Colle d'Abries o il rifugio del Lago Verde, a individuare i blocchi frantumati delle opere difensive della zona, sono il filo spinato abbandonato sul terreno nelle vicinanze dei bunker e le piastre metalliche delle feritoie per le mitragliatrici, scagliate a parecchi metri di distanza in seguito all'esplosione distruttiva.
L’
opera 3 si trova a nord-est del Colle d’Abries, a quota 2.450 m, a destra della pista per il Lago Verde poco dopo il guado sul torrente. La sua individuazione è facilitata dalla presenza di materiale roccioso di scavo sparso lungo il versante, e di grossi blocchi di cemento frantumati nel pianoro sovrastante, dove si trovano anche una piccola
vasca e alcune
piazzole. Era dotata di tre armi con il compito di battere il terreno compreso fra il Colle d’Abries e il fondovalle. L’ingresso, molto difficoltoso e decisamente sconsigliato, è possibile attraverso i resti di una postazione per arma. All’interno, una lunga scala (di cui si sono conservati i corrimano in legno!) scende nelle viscere della montagna, per poi dividersi in vari corridoi, tutti rivestiti di cemento e ingombri di rottami metallici. Nelle vicinanze di uno dei vecchi ingressi sono visibili i resti di un
piccolo ricovero (di cui non si rinvengono denominazioni nelle fonti documentali o bibliografiche e che, nella cartografia del Progetto dell’Atlante delle Opere Fortificate, è stato denominato B2), posto al riparo di una sporgenza rocciosa.
Se si segue il sentiero che porta al Colle d’Abries Vecchio, circa 600 metri sotto il valico ci si imbatte in un’altro
ricovero (B1), di dimensioni maggiori rispetto al precedente, posto in posizione dominante sul fondovalle: di forma rettangolare, aveva alcune feritoie sulle pareti di pietra e presenta ancora resti dei ferri che sostenevano il tetto, ormai crollato come parte dei muri perimetrali. Risale probabilmente
alla fine dell’800 o ai primi anni del ‘900. Nei pressi si trovano alcune
piazzole e postazioni all’aperto, i resti di una linea di filo spinato e i monconi di diversi tralicci, segno che probabilmente vi era una linea di comunicazione che collegava questa zona al fondovalle.
Circa 500 metri a nord-est del Colle d’Abries Vecchio, ai piedi delle pareti rocciose che scendono dalla Punta Rasin, si trovano i resti dell’
opera 2, realizzata in caverna e dotata di due armi con il compito di battere il valico con la Francia. I blocchi esterni sono stati sbriciolati con la demolizione e risultano quasi completamente coperti dai detriti rocciosi che cadono dal versante superiore. Giunti al Colle d’Abries Vecchio si scorgono, addossati alle rocce sulla destra, i resti di un
appostamento (denominato P25 dallo scrivente) che, oltre a essere protetto da muri di pietra, sfrutta alcuni scavi realizzati nella parete rocciosa retrostante: probabilmente si tratta di lavori effettuati per l’opera 1, che una carta militare del 1940 indica da costruire in questa zona. Seguendo la cresta verso sud, si notano sul versante italiano alcune
piazzole, una
postazione all’aperto (P24) e una
trincea a “L” ancora ben conservata. Più avanti, sul lato francese, si rinvengono numerose putrelle, travi e piastre in ferro, mischiate a detriti rocciosi, forse i resti di una
postazione coperta avanzata.
L’opera 6 è situata su una specie di “prua” rocciosa a sud-est del Colle d'Abries, sulla dorsale che divide tale valico dal Colle di Valpreveyre. Realizzata completamente in caverna, disponeva di tre armi in casamatta per battere il crinale di confine e la conca del Lago Verde. La sua individuazione non è semplice: occorre notare alcuni grossi blocchi di cemento e piastre metalliche sparsi lungo il versante che scende dal Colle d’Abries, come conseguenza della demolizione avvenuta dopo la guerra. L’accesso alle parti sotterranee, che risulta attualmente difficoltoso (e anche pericoloso), può avvenire dal versante opposto, attraverso una fenditura posta ai piedi di una parete rocciosa. Dopo una rischiosa discesa lungo un tunnel pieno di detriti, si raggiunge uno stanzone con diversi vani, resti di ferri e di un lavandino. Fuori, appena a valle della struttura, si trovano i resti di alcune baracche e di una piccola vasca di forma cubica per la raccolta dell’acqua piovana.
Salendo verso il Colle di Valpreveyre, si possono notare lungo il sentiero i resti di varie piazzole, ricoveri, postazioni e terrazzamenti (B8, B9, B10) con muri di sostegno in pietra, mentre arrivando nei pressi del valico sono individuabili altre piazzole (B7), poste in posizione riparata appena al di sotto dello spartiacque sul lato italiano. Giunti sulla linea di confine con la Francia, a nord, tra il Colle di Valpreveyre e quello di Abries, si trovano una serie di postazioni allo scoperto (P23), realizzate in posizione dominante con semplici muretti a secco, oltre a matasse di filo spinato. A sud, resti di altri appostamenti e piccoli trinceramenti (P20, P21, P22) sempre in pietra a secco, che proseguono lungo il crinale verso il Passo Bucie.
Praticamente di fronte all’opera 3, in un pianoro sul versante opposto, si trovano i resti dell’
opera 4, che era realizzata quasi completamente fuori terra; si possono quindi apprezzare la pianta della struttura, di forma quadrata, e lo spessore dei muri di cemento di cui era composta. Essa era dotata di tre armi e di condotto per il fotofono, per permettere le comunicazioni con le altre opere circostanti. Nei pressi dell’opera 4 si trovano numerosi
scavi, terrazzamenti, postazioni all’aperto (P2, P3) e una
baracca (B3) con quel che rimane di una cucina. Poco più a monte, lungo il sentiero per il Lago Verde, si trovano tre piccoli
appostamenti allo scoperto, collegati tra loro da una trincea (P4), mentre sul terreno circostante è possibile rinvenire grandi quantità di
filo spinato, oltre a
piastre metalliche e altri ferri vari, più o meno contorti, che emergono tra l’erba e le rocce. Anche l’attuale
Rifugio “Severino Bessone” nei pressi del Lago Verde era un tempo un piccolo ricovero militare, realizzato probabilmente tra la fine dell’800 e i primi del ‘900 per il controllo della frontiera, come le strutture del Col d’Abries Vecchio e del
Fontanone. Nel 1925 i servizi segreti francesi rilevavano che l’edificio, un semplice monolocale con tetto a due falde, era stato sistemato dagli alpini del 3° reggimento. La struttura venne recuperata tra il 1967 e il 1968 dal CAI Val Germanasca che realizzò un bivacco, successivamente ampliato e trasformato in un vero e proprio rifugio negli anni ’70, poi nuovamente ingrandito negli anni ’80, e infine completamente ristrutturato tra il 2007 e il 2010.
Tutto
il crinale a nord del rifugio che, scendendo a ovest della Gran Guglia,
“racchiude” la conca del Lago Verde, è letteralmente costellato di postazioni allo scoperto (ce ne sono
almeno nove), realizzate con semplici muretti a secco, oltre ad alcune piazzole e resti di baracche situate in
posizioni riparate in avvallamenti dietro il versante. Si tratta di
appostamenti che disponevano di un’ottima visuale e campo di tiro aperto su
eventuali truppe che avessero cercato di oltrepassare il confine. Alcune (come
la P7 e la P5) sono più strutturate, con muraglie e feritoie per le armi, altre
sono semplici ripari sul terreno, schermati da un po’ di pietre sovrapposte
alla bell’e meglio. Poco al di sotto della postazione P5, si rinviene anche
un cumulo di detriti derivanti dagli scavi
per l’opera 7, iniziata nel 1939 ma mai completata. Nessuna traccia si è
invece rilevata dell’opera 8, che avrebbe dovuto sorgere alle pendici ovest
della Gran Guglia, i cui scavi venivano indicati come “iniziati” nel 1940; così
come dell’opera 5, anch’essa teoricamente già in costruzione lungo il sentiero
per il Colle d’Abries, tra le opere 3 e 6.
Al
Colletto della Gran Guglia si trovano un appostamento
(P17) in pietra a secco e, sul lato opposto, il ricovero VIII, realizzato in cemento armato e ancora in buone
condizioni: strutturato su due piani, è dotato di un corridoio che ne percorre
tutta la lunghezza dal lato verso la montagna, con lo scopo di creare
un’intercapedine tra il terreno e l’edificio per migliorarne la salubrità.
Poteva ospitare 20 soldati. A fianco della casermetta si trovano le latrine,
mentre se si prosegue lungo un sentiero (oggi in buona parte franato) che
costeggia la parete rocciosa verso sud si raggiunge un osservatorio all’aperto (P18), posto proprio sulla cresta con vista
dominante su tutta la conca del Lago Verde. Il sentiero continuava fino alla
dorsale con la Val Pellice, dove già le carte di inizio ‘900 indicavano la
presenza di una “vedetta diroccata”. In questa zona vennero previste varie
opere tipo 15000 per rinforzare il caposaldo: l’opera 8/a, di media grandezza
dotata di tre armi, e le opere piccole 8/b e 8/c (quest’ultima presso il
Buciret). Scendendo lungo la mulattiera verso il
Colletto Viafiorcia, su uno sperone da cui si vede il fondovalle fino a Bout du
Col si trova un traliccio metallico che regge una campana, utilizzata durante la guerra per segnalare l'arrivo degli
aerei, che oggi è dedicata ai caduti della Giovane Montagna. Più in basso,
sulla sinistra appena dopo il bivio con il sentiero per il Baraccone di San Giacomo, si incontra una postazione
all’aperto (P19).
La linea difensiva del caposaldo era completata dal
ricovero I per 40 uomini, posto in posizione riparata contro lo sperone roccioso che scende dalla Gran Guglia a nord-ovest. Tale struttura, conosciuta localmente con il nome di “Arsenale”, era formata da una parte in caverna a forma di “U” (ancora accessibile), destinata al ricovero dei soldati, e una parte frontale (oggi completamente crollata) dove erano sistemati i servizi più indispensabili quali la cucina, il deposito viveri e acqua, il ripostiglio della legna, le latrine, il lavatoio e un locale magazzino. Per favorire la naturale ventilazione del ricovero, l'imbocco in galleria era posto a differente quota, pertanto il pavimento ha una pendenza verso il punto più basso del 4%. Ma il giudizio dell'Ispettore del Genio fu molto critico: “
La pianta dell'opera non é felice sia nei riguardi della ventilazione, sia per quelli dell'adattamento al terreno. Sarebbe stato preferibile sviluppare la casermetta in senso longitudinale, dando alle camerate aria e luce diretta: per la salubrità dei dormitori era conveniente altresì prevedere un'intercapedine”
. Il ricovero era probabilmente collegato a
Pian Littorio con una teleferica, utilizzata per portare in quota materiale, di cui restano ancora oggi
due basamenti in cemento nei pressi del guado con cui la pista sterrata attraversa il torrente, tra le opere 3 e 4. Nei dintorni del ricovero, in posizione dominante sulla strada che sale da Bout du Col, si trova una
postazione allo scoperto (P14), oltre ad alcuni resti di
baracche e piazzole (B5).
Nella
piccola conca a nord-est dell’“Arsenale”, più arretrata rispetto al confine, si
trovano numerosi terrazzamenti e
piazzole, posti in un pianoro
riparato: qui una carta del 1939 individuava la presenza di una batteria di due
mortai da 81. Sulle alture circostanti a nord vi sono alcuni
appostamenti all’aperto (P15, P16),
composti da semplici avvallamenti nel terreno protetti da muretti a secco;
leggermente più a est, sulla cresta che sovrasta la zona di Pian Littorio si
trova invece un grande scavo circolare destinato all’opera 9. Ma le strutture più interessanti sono una serie di postazioni coperte, dotate di feritoie
e collegate tra loro da un trinceramento anch’esso coperto, con il compito di
battere la strada che scende verso il fondovalle. La copertura era sorretta da
travi in ferro e legno e poi rivestita di terra, mentre le murature erano
realizzate con pietre e sacchi di cemento. Una delle postazioni è ancora
completamente integra e accessibile, compreso il basamento per mitragliatrice,
mentre le altre e la trincea sono quasi interamente crollate. In questa zona,
secondo i progetti dei militari, sarebbe dovuta sorgere l’opera 10: è possibile
che si sia deciso di sostituire il bunker con queste strutture, decisamente più
semplici ed economiche.
Sfoglia la gallery fotografica qui sotto: