martedì 4 aprile 2023

Poggio Oddone (Perosa Argentina)

Il centro di Perosa viene citato per la prima volta (in quanto Petrosa e Podium Odonis, oggi “Perosa Alta”) in un documento del 1064, con il quale la contessa Adelaide concedeva i diritti di sovranità feudale e di proprietà fondiaria di tale territorio all’abbazia benedettina di S. Maria di Pinerolo.

Il piccolo villaggio era guardato da un castello e nel suo centro, già allora intitolata a S. Genesio, vi sorgeva la chiesa, retta da un benedettino dell’abbazia di Pinerolo.

Alla morte di Adelaide, scoppiarono dissidi tra grandi feudatari, abbazie e monasteri della regione subalpina. Ne approfittò Tommaso I di Savoia per rientrare in possesso degli antichi dominii della famiglia, compresa Pinerolo di cui fu acclamato signore. Il popolo, da parte sua, rivendicava le prime libertà comunali e prendevano consistenza forme di dissidenza religiosa e di protesta ereticale.

Alla fine del XIII secolo la presenza valdese nelle nostre valli doveva costituire un fatto tutt’altro che trascurabile, se nel 1297 si decise di inviare a Perosa un inquisitore. Minacce, multe, confische di beni, torture non diedero tuttavia i risultati sperati; tanto che, novant’anni dopo, nel 1387, l’inquisitore Antonio di Settimo lamentava che molti abitanti del luogo non solo aderivano all’eresia ma addirittura la diffondevano nelle valli vicine.

In questo periodo (1301-1418) i principi d’Acaja, ramo cadetto dei Savoia, con le armi e con i matrimoni estesero il loro dominio su quasi tutto il Piemonte, facendo di Pinerolo la capitale del loro Stato.

Perosa aveva ottenuto nel corso del XII secolo di organizzarsi in comune rurale sotto la sovranità dell’abate di S. Maria. Gli Acaja confermarono gli statuti e le antiche consuetudini, e nel 1420 Amedeo VIII, primo duca di Savoia, aumentò considerevolmente tali franchigie e privilegi.

Ma, tormentata terra di confine, oggetto di continua contesa fra Delfini e Savoia fin dalla morte di Adelaide, la valle subirà soprattutto nel corso del XVI, XVII e XVIII secolo le tragiche conseguenze della rivalità franco-sabauda e le popolazioni del luogo pagheranno a carissimo prezzo, in migliaia di vite umane, falcidiate da guerre, pestilenze e miseria, le ciniche scelte della politica internazionale.

Andirivieni di eserciti, alternanza di divise e di signori; trentotto anni di dominazione francese ad opera di Francesco I e trionfale ingresso a Pinerolo di Emanuele Filiberto, il 1° gennaio 1575; l’insediamento in valle delle missioni cappuccine, allo scopo di porre un argine al diffondersi della religione riformata, con il seguito delle persecuzioni di Carlo Emanuele I nei confronti della popolazione valdese, relegata sulle terre alla destra del Chisone e costretta, in parte, all’emigrazione in paesi lontani (con la conseguente nascita in Germania del villaggio di Perouse, nel comune di Rutesheim): questo il drammatico quadro della complessa situazione che segna questa contrada tra il XVI e il XVII secolo.

Ricostruzione della pianta di Poggio Oddone

Nel corso di tanto tumultuose vicende, Perosa venne assediata per ben due volte dalle truppe francesi: nel 1592 dal Lesdiguières, sceso in valle per rintuzzare gli ambiziosi tentativi sabaudi di occupazione della val Pragelato (appartenente alla Francia fino al Bec Dauphin, quale eredità dei Delfini), e nel 1630 dal cardinale di Richelieu in persona, deciso ad impadronirsi del Monferrato e a contrastare le pretese dinastiche di Carlo Emanuele I su quelle terre.

Son altri settant’anni circa di dominazione francese, la seconda, durante la quale la valle ebbe modo di accogliere nuovi illustri ospiti: il Vauban, architetto di Luigi XIV, che fece di Pinerolo una delle più potenti piazzeforti d’Italia; D’Artagnan, il famoso moschettiere, che scortò alla cittadella di Pinerolo il sovrintendente alle finanze del Re Sole, Nicola Fouquet, accusato di malversazione e ribellione; la famosa quanto misteriosa Maschera di ferro e da ultimo il famigerato maresciallo Catinat.

A questo proposito va ricordato che nel 1665, necessitando la fortezza di Pinerolo di urgenti riparazioni, il Fouquet fu trasferito per un intero anno al forte di Perosa (edificato dai Savoia nel 1628 sulla spianata di Ciampiano).

Oggetto di particolarissima attenzione in pace e in guerra per la loro posizione strategica, le fortificazioni perosine furono inevitabilmente segnate da alterna fortuna.

Oggi rimangono pochi resti di tale opera in quanto, nel 1696, con la restituzione di Perosa ai Savoia, i francesi posero la condizione che ne venisse completamente demolita la cittadella.

La stessa sorte era toccata nel 1601 al forte di S. Giovanni, geniale opera di Ascanio Vittozzi, fatto costruire appena quattro anni prima sul roccione di Bec Dauphin, l’antico confine tra Delfini e Savoia (il restante rudere faceva parte di una ridotta francese del 1631).

Il castrum Podii Odonis (come detto, in onore di Oddone di Savoia, marito della Contessa Adelaide) esisteva già intorno al 1200, in base ad alcuni documenti[1] in cui vengono citati i conti della castellania di Perosa. Esso costituiva una linea di sbarramento concepita soprattutto per contenere l’avanzata dei Delfini di Vienne. Nel 1246 l’Abate Alboino cede al conte Amedeo IV di Savoia i diritti sul castello. Il castello viene poi rinforzato durante la dominazione francese del 1536-1574. In questo periodo la struttura appare molto semplice: una sorta di ibrido tra un castello tardo medievale con alcune parti (in particolare la cinta muraria esterna e una delle torri) rispondenti ai criteri costruttivi delle cosiddette “fortificazioni alla moderna”: “l’opera principale è formata da una struttura a forma di trapezio rettangolo capovolto […] il muro perimetrale è discretamente robusto, con uno spessore di metri 1,30, non adatto comunque a sopportare i tiri dell’artiglieria. La cortina rivolta verso Nord, lunga meno di 20 metri, senza aperture verso l’esterno e con alle spalle un ampio locale, congiunge due torri angolari cilindriche, con un diametro esterno di quasi sette metri e mezzo; […] La torre a Nord Est è dotata di tre feritoie, due delle quali consentono il controllo radente delle cortine e la terza è rivolta verso l’esterno; l’accesso avviene dal locale citato in precedenza tramite una scala. Stesse dimensioni è caratteristiche ha la torre di Nord ovest, ma la scala di accesso parte dal cortile interno. La cortina Est […] collega la torre Nord Est ad un torrione squadrato e presenta tre aperture atte ad ospitare l’artiglieria leggera. Il torrione di Sud Est, concepito e realizzato in tempi più recenti dopo la comparsa delle artiglierie, è dotato di due bocche per ami da fuoco. […] all’interno della fortificazione, è presente una torre cilindrica di notevoli dimensioni (il diametro è di tre trabucchi (circa 9 metri), con mura spesse oltre due metri; l’accesso avviene da Sud. […] l’opera è protetta da una recinzione pentagonale esterna […] rinforzata agli angoli da quattro torrette di forma esagonale. […] Verso Nord risulta presente un discreto fossato che taglia perpendicolarmente il crestone che risale verso la borgata Forte.”[2]   

I primi cenni di cedimento della struttura hanno luogo a cavallo tra il 1590 e il 1591 quando il maltempo cagiona alcune frane che rovinano parte delle recinzioni delle cortine esterne; la demolizione del castello risale al 1593 quando le truppe francesi, guidate dal Lesdiguières, assediano e conquistano, nella notte tra il 26 e il 27 settembre, il borgo e la struttura comandato da Francesco Cacherano. “Nel 2002, durante alcuni lavori di posa di un traliccio nella zona dominata dal faro della libertà, sono riemersi i resti di una delle torri rotonde che probabilmente facevano parte dell'antico Castello di Poggio Oddone. La tipica base rotonda situa tali resti ad un periodo antecedente il XVI secolo. Tale area è ora sottoposta a vincolo dei beni culturali ed è destinata ad ospitare un campo scuola di scavo archeologico”[3].



[1] In particolare, un documento del 2 agosto 1233 e un altro del 31 gennaio 1246. Peyronel E., Usseglio B., Di qui non si passa! …Forse, Alzani Editore, 2015, p. 37.

[2] Ibidem, p. 43

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