Dopo la revoca dell’editto di
Nantes, il re di Francia, alleato con il duca Vittorio Amedeo II, decise di
cacciare i Valdesi dalle loro valli. Incaricato dell’operazione in Val San
Martino (l’antico nome della Val Germanasca) fu il generale Catinat. Fra il 22
aprile ed il 1° maggio del 1686, circa 4000 soldati francesi avevano sferrato
il loro attacco. Il 28 aprile, giorno di domenica, tutta la popolazione della
Valle di San Martino, come quella della vicina Val Pellice, si era arresa per
aver salva la vita: ad eccezione della comunità di Massello, ostinatamente
decisa a resistere e a difendere se stessa e le proprie famiglie fino alla
morte. Questi ultimi superstiti si ripararono sulle alture rocciose che
sovrastano Balziglia, dette lou Châtél,
“il Castello”, per la loro posizione dominante, poco accessibile e facilmente
difendibile. Contro di essi si portò personalmente il generale Catinat, che dopo
tre tentativi con diverse centinaia di soldati riuscì infine, il 17 maggio, a
sorprendere dall’alto i circa 60 rifugiati superstiti e ad assalire da ogni
lato la posizione difesa dai Valdesi, che rimasero senza via di scampo.
Quattro anni dopo, la Balziglia fu
di nuovo al centro degli avvenimenti bellici. Rientrati nelle loro valli dopo
l’esilio in terra svizzera con il cosiddetto “Glorioso Rimpatrio”, i Valdesi si
videro di nuovo attaccati dalle truppe ducali e francesi sia in Val Pellice sia
in Val Germanasca. Nell’ottobre 1689, all’avvicinarsi dell’inverno, un gruppo
di poco più di trecento individui trovò nuovamente rifugio alla Balziglia. Qui,
sui costoni rocciosi detti “Quattro Denti”, che scendono dal Monte Pelvo fino
alla confluenza tra il rio del Pis e quello del Ghinivert, realizzarono una
serie di fortificazioni e di alloggiamenti, mentre i francesi, per il freddo
intenso e per la neve caduta ai primi di novembre, si ritirarono a Perosa e Pinerolo.
La Balziglia in una cartolina storica; sullo sfondo il "Castello" e il monte Pan di Zucchero (Fonte: Comune di Massello) |
Furono costruiti vari trinceramenti a mezzaluna disposti su gradoni successivi, in parte scavati e in parte con muri a secco, per difendere il pendio che dal pianoro detto “Castello” scende verso il rio del Ghinivert. Nel muro esteriore venivano sovrapposti più strati di alberi, con i rami rivolti verso gli attaccanti e le radici incastrate tra le pietre, così che cercando di sradicare le piante per formare una breccia, si sarebbe creata una frana che avrebbe travolto gli assalitori. Dietro il parapetto erano accatastati grossi mucchi di massi, da far rotolare sugli attaccanti. Il ripiano alle sue spalle, chiamato Pasté, fu protetto con un muro più alto dotato di feritoie. Altre piccole ridotte e trinceramenti, collegati tra loro da camminamenti protetti così da potersi ritirare progressivamente in caso di necessità, vennero realizzati lungo tutta la cresta intorno alla cima del Pain de Sucre (“Pan di Zucchero”), fino al punto più elevato, detto “il Fortino” o Bric dё l’Aoutin. Nei punti più riparati e pianeggianti furono costruiti circa 80 ricoveri per i difensori, costituiti da baracche in legno, paglia e zolle di terra, ognuna capace di contenere dai 20 ai 30 uomini, oltre a magazzini per viveri e munizioni. Tutte le vie d’accesso erano controllare da diversi posti di guardia[1].
I Valdesi resistettero a un primo
attacco dei francesi, condotti nuovamente dal generale Catinat, avvenuto il 2
maggio del 1690 con 4000 uomini, che però furono respinti in mezzo ad una
bufera di neve, con la perdita di 200 soldati e 20 ufficiali. Dopo questo
insuccesso, il Catinat lasciò il comando al marchese De Feuquières, il quale fece
allargare le strade esistenti per trasportare dei pezzi d’artiglieria, ritenuti
necessari per smantellare le fortificazioni degli assediati. Il 22 maggio, due cannoni e un mortaio
cominciarono a tirare: fu forzato dal basso il “Castello” ed i trinceramenti
successivi, mentre furono occupati dall’alto gli ultimi posti fortificati dei
Valdesi i quali, alla fine della durissima giornata, vennero ricacciati verso
il centro del costone, sul Pain de Sucre.
Grazie ad una nebbia provvidenziale, che anticipò ed accrebbe l’oscurità della
notte, e grazie all’ottima conoscenza dei luoghi del capitano Filippo Tron
Poulat, nativo proprio della Balziglia, i superstiti riuscirono a sfuggire
all’attacco definitivo dei francesi[2].
La Balziglia durante l'attacco (stampa tratta da W. Beattie, Les Vallees Vaudoises pittoresques, Virtue/Ferriere, 1838) |
I resti delle fortificazioni furono in seguito distrutti, anche se alcune tracce sono ancora visibili sul terreno. È possibile salire al pianoro del “Castello” seguendo un sentiero che parte dal parcheggio di Balziglia: qui si trovano alcune case, che non esistevano ai tempi dell’assedio. Sul fianco destro del piano si vede un grande parapetto in terra che probabilmente ricalca e ingloba il vecchio trinceramento che sorvegliava l’ingresso. Proseguendo oltre il pianoro si allarga e, sulla sinistra, si può identificare una struttura triangolare posta su uno sperone che precipita verso valle, conservata per fungere da parapetto per il dirupo sottostante. Da qui inizia la cresta che, attraverso passaggi sempre più stretti e ripidi, conduce fino alle pendici del Pan di Zucchero. Sul fianco della montagna, dal lato del vallone del Pis, si trovano diversi anfratti naturali che potevano essere utilizzati come ripari. Si raggiungono quindi tre terrazzamenti, dove sorgevano i baracconi fortificati del Pasté. Tutto intorno alla cresta più a monte si trovano altre fosse che ospitavano baraccamenti e ricoveri. Salendo ancora, il sentiero diviene molto difficoltoso e richiede abilità alpinistiche, passando attraverso salti di roccia e canaloni scoscesi. Sulla cima del Pan di Zucchero (1.828 m) si vede ancora un trinceramento in pietra che raggiunge una ridotta quadrata, separata dalla cresta da un fossato[3].
La borgata Balziglia oggi |
[1]
La struttura dell’intero sistema difensivo è ben descritta da Arturo Pascal nel
suo studio Le Valli Valdesi negli anni
del Martirio e della Gloria (1686-1690), Società di Studi Valdesi, Torre
Pellice, 1968
[2] Molto utile per
comprendere il susseguirsi degli avvenimenti è una carta realizzata da D. Peyrot
e pubblicata sul n. 7 del “Bulletin de la
Société d’Histoire Vaudoise” nel 1890.
[3] Per una descrizione
approfondita dell’itinerario di salita si veda E. Garoglio, “Il vallone
di Massello, da Balsiglia al colle dell’Albergian”, in La Beidana n. 92, Fondazione Centro Culturale Valdese, Torre
Pellice, 2018
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