sabato 29 ottobre 2022
Castelli d'OC
mercoledì 5 ottobre 2022
La batteria dello Chaberton (Monginevro – FR)
La batteria dello Chaberton costituisce, senza dubbio, una delle
opere più caratteristiche e peculiari nell’ambito delle fortificazioni delle
nostre valli.
Come per le ultime opere descritte, la progettazione della fortificazione risale a fine dell’800, quando, nell'ambito della Triplice Alleanza, l'Italia perseguiva un piano di miglioramento del sistema di opere sul confine con la Francia. La vetta dello Chaberton fu scelta per la sua posizione strategica, per la sua inaccessibilità e per l'impossibilità di essere colpita con le armi a tiro curvo dell'epoca. Ciò spiega la realizzazione di batterie sopraelevate con cannoni piazzati in torrette rotanti e senza protezione. Questo sarà un drastico deficit allorché i mortai francesi nella Seconda Guerra Mondiale bersaglieranno la batteria. Il progetto fu quello di un'opera autonoma ad azione lontana, ovvero con il fine di bombardare postazioni militari anche a notevole distanza in territorio straniero. Ciò determina come lo Chaberton sia una fortificazione atipica, in quanto alla finalità di difesa aggiungeva anche una propensione offensiva in territorio straniero.
La costruzione iniziò nel 1898, con la realizzazione della strada
che univa Fenils alla vetta del monte. I lavori, sotto la guida del maggiore
del Genio Luigi Pollari Maglietta, si conclusero nel 1910, e videro la batteria
armata con 8 cannoni da 149/35 in torrette corazzate.
Durante la prima guerra mondiale la batteria fu disarmata, ed i cannoni
utilizzati sul fronte orientale; in questo periodo non vi fu alcun presidio
dell’opera.
In seguito, l’evoluzione degli armamenti aveva reso il forte
vulnerabile al tiro dei mortai. Per migliorare la situazione, negli anni trenta
partì la ristrutturazione della batteria, finalizzata a portare gran parte
delle difese in caverna. Nel quadro del Vallo Alpino vennero inoltre realizzati
il centro in caverna del Colle dello Chaberton e la Batteria B14 del Petit
Vallon.
Il 10 giugno 1940, con la dichiarazione di guerra alla Francia, la
batteria divenne attiva per la prima volta: venne utilizzata per bombardare
obiettivi militari francesi, senza peraltro causare grandi danni (nel vicino
forte francese dello Janus è visibile una torretta di avvistamento corazzata
lievemente scalfita, ma non perforata, da una delle granate da 149 dello
Chaberton). La mattina
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Lasciato dopo l'8 settembre 1943, fu poi occupato da reparti della
Folgore della RSI nell'autunno ’44, per poi essere definitivamente abbandonato dopo
la fine del conflitto nel 1945.
Con i trattati di Parigi del 1947, l'intero monte Chaberton, e quindi anche la
batteria, passarono in territorio francese e quest’ultima venne svuotata di
tutte le strutture metalliche nel 1957. Nel 1987 venne chiusa al traffico anche
la rotabile che congiungeva Fenils con la vetta.
Inizialmente la batteria era costituita da strutture in muratura a cielo
aperto, disposte sulla vetta. Questa era stata spianata ed abbassata di 6 m per
permettere la costruzione delle opere, e, sul lato italiano, fu creato un
gradino roccioso alto circa 12 m, alla cui base furono realizzate le opere in
muratura. La batteria si sviluppava in lunghezza lungo questo scalino; due
lunghi corridoi davano accesso a diversi locali, che fungevano da camerate,
magazzini, infermeria, comando,
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Il cannone delle torrette era da 149/35, ospitato in una torretta
corazzata girevole, con un'armatura leggera (5 cm al massimo nella parte
frontale, 2,5 cm sul tetto, 1,5 cm nelle parti posteriori), fornita dalla ditta
Armstrong e nota con il nome specifico di Armstrong-montagna. La corazzatura
era progettata per proteggere i serventi al pezzo (7 per ogni cannone) dalle
schegge, e non da colpi diretti, in quanto all'epoca della progettazione non
esisteva alcuna arma a tiro curvo in grado di raggiungere le torrette.
Nel corso degli interventi degli anni '30, le strutture di
servizio furono portate in caverna. Il progetto iniziale prevedeva di portare
in caverna anche gli armamenti, ma ciò non fu mai fatto, per mancanza sia di
fondi che di tempo.
va accumulandosi inesorabilmente di anno in anno.
Occorre, poi, menzionare le opere annesse alla batteria. Salendo
dal colle dello Chaberton verso la vetta, si incontra per primo il corpo di
guardia dello Chaberton. Questo è una piccola struttura in cemento posta sulla
strada militare qualche tornante dopo il ricovero 2, da dove, tra l’altro si
dipartono i lunghi reticolati di filo spinato tipici dell’ultimo tratto
dell’ascesa alla Batteria.
Salendo verso la vetta dello Chaberton, dopo aver oltrepassato il
piccolo corpo di guardia, si trova la caserma della truppa, composta da due
piani, ancora parzialmente intatta. Poco oltre, appena prima della batteria è
possibile vedere la caserma degli ufficiali. La struttura è ormai un rudere il
cui tetto è crollato e di cui si può intravedere il piano terra.
Guardando dal colle in direzione Fenils, si noterà, poi, su un
pianoro a sinistra il rudere di una caserma: il ricovero di Rocca Charnier. Lo
si raggiunge percorrendo un sentiero che si stacca dalla strada che da Fenils
conduce al Colle. Al km 10, arrivati al Piano dei Morti, parte un sentiero
sulla destra, che risale sino al ricovero Charnier, costituito dal rudere di
una costruzione di fine '800 posta su due piani, che poteva ospitare 60 uomini,
1 ufficiale e quattro quadrupedi.
Il Fort Mutin e le sue ridotte (Fenestrelle)
1)
Il Fort Mutin (Fenestrelle)
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Quest’ultima, in particolare, fu soggetta alla dominazione
borbonica dal 1536 al 1574 e nuovamente dal 1631 in virtù del Trattato di
Cherasco. La città fu, poi, riconquistata da Vittorio Amedeo II di Savoia nel
1696, prima dell’avanzata francese su Torino del 1706.
In questo contesto, la costruzione del Fort Mutin iniziò nel 1694
per volontà di Luigi XIV, che voleva tutelare il fondovalle da eventuali
attacchi sabaudi in caso di caduta di Pinerolo. La struttura fu edificata con
forma pentagonale ed angoli bastionati e collegati da cortine protette da
mezzelune, per un’estensione complessiva di circa 96.000 mq. Anche se non vi
sono fonti certe, pare che l’opera sia stata realizzata sulla base dei progetti
dell’architetto Guy Creuzet de Richerand, responsabile delle fortificazioni per
il Delfinato.
La fortificazione, ulteriormente protetta da un fossato, dotato di
controscarpa ed un camminamento coperto, vedeva al proprio interno ogni locale
logistico, finanche il pozzo con l’acqua proveniente da una sorgente alle
pendici del monte Gran Costa.
Tale costruzione, tuttavia, pare sia stata aspramente criticata
dal più noto Sébastien Le Prestre de Vauban, quando, in veste di Commissario
generale delle fortificazioni, visitò la struttura nel 1700. Pare addirittura
che il Vauban si rivolse con disprezzo nei confronti del costruttore del Mutin,
auspicando addirittura l’abbattimento di questa struttura, costruita su una
conca che lo rendeva visibilmente vulnerabile al fuoco nemico. Tale proposito,
visto il contesto bellico, non poté essere attuato e il Vauban dispose, allora,
l’edificazione di otto ridotte disposte su entrambi i versanti della valle,
allo scopo di fornire una copertura al forte; tra queste si ricorda la ridotta
des Aiguilles, poi inglobata dal Forte San Carlo.
Tali sforzi, invero, furono vani e dopo esser uscito vittorioso
dal lungo assedio di Torino del 1706, Vittorio Amedeo II di Savoia, risalendo
le valli, riuscì ad espugnare il Mutin il 31 agosto 1708, dopo un assedio di
soli 15 giorni, nel corso dei quali ne era stata fatta esplodere anche la
polveriera.
Il forte venne poi ripristinato dal Re di Sardegna, che dispose il
puntamento dei cannoni verso la Francia e l’edificazione di altre strutture che
comporranno poi il complesso del Forte di Fenestrelle. Il Mutin venne poi
parzialmente abbattuto quando, ormai desueto, venne sostituito nel 1836 dalla
Ridotta Carlo Alberto.
Oggi rimangono le ampie strutture in
pietra che disegnano una parte di quello che fu l’originario forte pentagonale
e sono ancora ben visibili dal Forte di Fenestrelle. È, inoltre, possibile
visitare i resti del Forte Mutin grazie al pregevole lavoro di recupero dei
volontari e del comune di Fenestrelle e all’opera di valorizzazione portata
avanti, tra l’altro, dalle nostre associazioni con la proposta di molte
escursioni guidate.
2)
La ridotta della Bergonnière
(Fenestrelle)
Questa è una piccola ridotta
d’appoggio al Fort Mutin edificata dai francesi “all’imbocco del vallone del rio Cristove, su una piccola collinetta […]
sui resti di una antica morena” L’opera consisteva di un trinceramento in pietra e un piccolo fortilizio di
cui rimangono ancora oggi alcuni resti.
3)
La Ridotta Catinat (Fenestrelle)
Questa è la prima ridotta che si trova a monte del Fort Mutin e
consta di un trinceramento quadrangolare idoneo a coprire anche con armi da
fuoco leggere la parte alta del Mutin. Le sue vicende seguono in tutto e per
tutto quelle del forte e ancora oggi sono visibili resti di tale opera.
4)
La Ridotta dell’Albergian (o de l’Eau)
(Fenestrelle)
Posta poco più a monte della Ridotta
Catinat, consta anch’essa di un trinceramento con una piccola costruzione
difensiva; anche per questa ridotta, le vicende seguono in tutto e per tutto
quelle del forte e ancora oggi sono visibili tracce sul terreno.
5)
La Ridotta degli Aiduchi (o Reduite
Eisduc) (Fenestrelle)
È una delle prime opere realizzata dai sabaudi e prende il nome da
uno dei reparti dell’esercito savoiardo; tale ridotta fu edificata dopo il 1708
più a monte delle ridotte Catinat e dell’Albergian. Sebbene lo scopo fosse lo
stesso delle precedenti ridotte francesi, vale a dire di proteggere il pozzo
con la fonte di acqua che riforniva le altre ridotte ed il Fort Mutin, la
ridotta fu edificata più a monte e in posizione meno vulnerabile anche in
considerazione della facilità con cui proprio gli Aiduchi avevano attaccato la
ridotta dell’Albergian nel 1708. La struttura ha forma triangolare e
decisamente più grande e complessa delle altre ridotte, trovandosi al suo
interno sia un ricovero sia un magazzino.
6)
La Ridotta Andourn (o Reduite des
Hauters)
Il Forte di Fenestrelle
La costruzione del complesso fortificato di Fenestrelle, trae spunto dall’esistenza dell’ormai vetusto forte Mutin, fatto costruire nel 1694 da Luigi XIV, il quale era posto nel fondovalle, sulla sponda destra del torrente Chisone e venne facilmente conquistato dalle truppe sabaude di Vittorio Amedeo II nel 1708, dopo appena 15 giorni di assedio.
Come accennato in premessa, con il trattato di Utrecht del 1713
l'alta val Chisone ed il forte Mutin passarono, quindi, ufficialmente ai
piemontesi. Il re di Sardegna, negli anni '20, ritenne inadeguato il sistema
difensivo rappresentato da tale fortezza (nonostante l’integrazione di alcune
ridotte e trinceramenti) ed affidò ad Ignazio Bertola, conte d'Exilles, il
compito di progettare nuove fortificazioni a Fenestrelle.
Il complesso fortificato, concepito come una struttura a
serravalle sul versante sinistro orografico, comprende tre forti (San Carlo,
Tre Denti, Valli), tre Ridotte (Carlo Alberto, Santa Barbara, Porte) e due
Batterie (Scoglio, Ospedale), collegate fra di loro da un sistema di scale, di
cui la più nota è la Scala Coperta di 4000 gradini. I lavori iniziarono nel
1728 con la realizzazione, nella parte alta, delle tre Ridotte (Elmo,
Sant'Antonio, Belvedere) che costituiscono ancora oggi il Forte Delle Valli.
Venne poi, progressivamente, integrata la preesistente ridotta costruita dai
francesi, che prese il nome di Forte Tre Denti, infine, si procedette
all'edificazione del Forte San Carlo.
Quest’ultimo è quello più prossimo
alla città di Fenestrelle ed è raggiungibile in pochi minuti mediante
l’automobile svoltando a destra dalla S.S.23 in direzione Sestriere.
RIDOTTA CARLO ALBERTO
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La parte più recente della struttura fortificata è la Ridotta Carlo Alberto, dal nome del re che dispose i lavori. Originariamente la ridotta era costituita da due edifici contigui, posti sulla sinistra orografica del Chisone, strategicamente a cavaliere della strada regia, l'attuale S.R. 23. Il fabbricato ancora esistente, a pianta quadrata, di forma troncopiramidale è strutturato su 5 piani, di cui 2 sotto il livello della strada, con stanze tutte voltate «alla prova di bomba». Era munito di numerose bocche da fuoco - 11 su ogni lato della strada.
La parte orientale mancante fu fatta saltare a colpi di mina, nel
luglio del '44, da partigiani della divisione “A. Serafino”, nell'intento di
rallentare l'opera di rastrellamento e la marcia dei tedeschi verso l'alta
valle. Questo corpo che si componeva di 4 piani, controllava direttamente
l'importante arteria di fondovalle tramite un ponte levatoio e una saracinesca
in ferro per ognuno dei due lati, che ne bloccavano il passaggio. La Ridotta
Carlo Alberto era inoltre corredata di locali di caricamento e di una
polveriera denominata «della tagliata», collocata poco distante nell'omonimo
fossato, che sale fino alla tenaglia occidentale di Sant'Ignazio.
Una trincea, protetta da una cortina
traforata da feritoie ancora esistente, collegava la ridotta con la «colombaia»,
vale a dire l'antico Chateau Arnaud.
FORTE SAN CARLO
Il complesso del San Carlo sorge ove un
tempo si trovava la ridotta des Aiguilles, edificata dai francesi per garantire
la difesa ravvicinata del Fort Mutin.
Il Forte San Carlo è il fulcro del
fortilizio di Fenestrelle, in quanto sull'ampia Piazza d'Armi, si affacciano
gli edifici più rappresentativi: il Palazzo del Governatore, il Padiglione
degli Ufficiali, la Chiesa (poi utilizzata come deposito munizioni) e, non
molto distanti, i tre quartieri militari. Da questo piazzale, sotto la torre
dell'orologio e di fianco all'ingresso secondario del San Carlo, parte anche la
famosa Scala Coperta di 4000 gradini che costituisce l’attrattiva più nota
della struttura.
Alla sinistra della piazza, rispetto
all’ingresso, è sito il Palazzo del Governatore, che con pianta
rettangolare, dispone di tre piani fuori terra ed uno sotterraneo ed è munito
di ingresso porticato con sovrastante loggia.
L'interno è costituito da numerose sale, tutte dotate ancora di
caminetti in pietra, fra le quali due spiccano per importanza, entrambe situate
al primo piano: la prima è il "quadrato militare", l'ufficio del
Governatore (colui che comandava l'intera piazzaforte, di norma un colonnello)
e la seconda è la sua cucina personale, munita di caminetto, di un lavandino,
di un piccolo forno, di un magazzino adiacente per derrate alimentari e
provvista, un tempo, di quelle attrezzature necessarie per la preparazione e il
consumo dei pasti per il governatore e pochi altri ufficiali. Era questo uno
dei tanti privilegi di cui godeva il comandante; un altro era quello di poter
vivere al secondo piano di questo palazzo con la sua famiglia. Attualmente la
struttura ospita la mostra permanente “Gli animali del Governatore”.
Il padiglione degli ufficiali, voluto da
Vittorio Amedeo III con la funzione di prigione di Stato e reclusorio militare
per ufficiali, è storicamente il palazzo più importante del complesso. Un
colossale edificio con possenti mura in pietra e volte in mattoni, abbellito
verso la Piazza d'Armi da uno splendido portale in pietra, si estende su cinque
piani più uno sotterraneo: costituito da 44 stanze (tutte corredate di
caminetto), solo una piccola parte di esse erano utilizzate come alloggi
regolari per ufficiali, tutte le altre «ospitavano» i prigionieri e militari
agli arresti. Nei piani inferiori erano ubicate le cucine e i magazzini viveri
del Forte San Carlo. Sono tuttora presenti, in buono stato di conservazione due
forni a riverbero per la panificazione e due calderoni usati, ai tempi, per la
preparazione del rancio. Nel sotterraneo un pregevole pozzo in mattoni serviva
ad attingere alla cisterna idrica sottostante, contenente circa centomila
litri.
Nelle celle del palazzo furono
imprigionati illustri personaggi: lo scrittore François Xavier de Maistre vi
scrisse il suo capolavoro («Un voyage autour de ma chambre»); un altro
letterato, J.X. Saintine, ambientò nel forte un suo romanzo; Stendhal ne «La
certosa di Parma» cita la fortezza come uno dei più temuti carceri sabaudi. Dal
1809 al 1813 venne imprigionato per ordine di Napoleone, assieme ad altri
eminenti prelati, il cardinale Bartolomeo Pacca, segretario del papa Pio VII,
ed è leggendo le sue «Memorie» (1830) che si comprende quanto penoso e sofferto
fosse il soggiorno in questo luogo: “La condanna di Fenestrelle faceva in
quei tempi spavento in Italia, quanto sul farlo nelle parti settentrionali la
relegazione in Siberia”. La cella in cui Pacca fu rinchiuso è l'unica che
conserva degli affreschi, con stemmi sabaudi dipinti in epoca posteriore.
Durante la restaurazione e per tutto l'800 tanti altri personaggi conobbero
quelle celle, seppure alcuni per breve tempo: il principe Carlo Emanuele Dal
Pozzo della Cisterna, Giuseppe Bersani (che alcuni storici indicano come figlio
illegittimo di Carlo Felice), alcuni liberali della "Giovine Italia",
mons. Luigi Franzoni, arcivescovo di Torino, in seguito alla promulgazione, da
parte del parlamento subalpino delle leggi Siccardi riguardanti riforme
ecclesiastiche da lui osteggiate; sei ufficiali garibaldini dopo gli
avvenimenti dell'Aspromonte ed alcuni soldati papalini dopo la presa di porta
Pia a Roma. Anche il Gioberti fu tradotto qui prima di riuscire a farsi
commutare la pena con l'esilio. Il Padiglione degli Ufficiali ed in generale
tutto il forte mantennero questa funzione di prigione di Stato e di «istituto
militare di correzione» (come si legge ancora sulle pareti dell'atrio
d'ingresso) per ufficiali agli arresti di fortezza, fino al primo dopoguerra.
Il carcere fu chiuso dopo un ultimo processo celebrato nel 1920 a Fenestrelle
nel tribunale di «Port Arthur» (antico caseggiato posto in fondo al paese)
contro alcuni detenuti fuggiti dal forte di Bard.
I quartieri sono tre
lunghi edifici, larghi 11 metri, a tre piani, disposti parallelamente uno
dietro l'altro sul ripido pendio, contraddistinti in facciata da un mirabile
ballatoio in pietra grigia. Originariamente adibiti a ricovero per le truppe,
furono poi molto usati come reclusorio militare e come prigione per galeotti,
tant'è che hanno mantenuto il nome originato da questa funzione primaria: «les
forçats». Ogni piano dei Quartieri era provvisto, sul lato orientale, di
«utilissime» latrine, con due turche. Sono nettamente visibili da fuori le due
condotte degli scarichi fognari del secondo quartiere, rifatte negli anni '20
di questo secolo e mai mascherate alla vista.
Più a monte, la Polveriera di Sant'Ignazio è la più importante del complesso; di pianta quadrata, dotata di tripli muri perimetrali di notevole spessore per proteggere la camera delle polveri da eventuali bombe nemiche e le costruzioni vicine in caso di una esplosione interna. Per illuminare, in tutta sicurezza, l'interno del magazzino delle polveri, furono realizzate due finestrelle delimitate, internamente, da lastre di vetro intelaiate ed, esternamente, da sportelli metallici, muniti di serrature. Dentro questo spazio, tra i due battenti, veniva collocata la lampada a petrolio. L'edificio era fornito di sistema parafulmine, sostituito nel 1930 da una «schermatura» metallica tale da formare una gabbia di Faraday.
FORTE DEI TRE DENTI
Il forte è posto sulla sommità di una ripida dorsale rocciosa, a
quota 1400 m., sui resti di una ridotta francese del ‘600.
Il forte fu dotato di batterie d'artiglieria e di poche
costruzioni, in parte ricavate nella roccia viva, utili per il proprio
fabbisogno interno: un baraccamento per soldati ed ufficiali, una polveriera a
pianta quadrata e con copertura in lose, in posizione leggermente staccata ed
isolata e dotata anch'essa di curiosa torretta parafulmine di forma
troncoconica; un basso fabbricato, del quale restano ora pochi ruderi,
utilizzato forse come stalla per i muli; una cisterna idrica e un nuovo
acquedotto sotterraneo. Questo acquedotto è un piccolo capolavoro di ingegneria
idraulica: sotto il Forte Tre Denti, una condotta artificiale, alta 130 cm e
larga 80 (percorribile tranquillamente da una persona), lunga 424 m., si
addentra in profondità nella montagna andando a prelevare l'acqua da una
sorgente naturale attiva tutto l'anno. L'acquedotto poi proseguiva a fianco
della Scala Coperta, all'interno di una struttura in muratura coperta da lastre
in pietra, alimentando oltre che il Forte Tre Denti anche il Forte San Carlo.
Percorrendo, poi, una galleria che attraversa tutto il forte, si raggiunge
“l'uscita del soccorso”: un ponte levatoio, del quale restano parte delle
travature del bilanciere a parallelogramma, consentiva di uscire verso il lato
piemontese, nella pineta di Mentoulles. Tale accesso secondario, presente in
tutte le fortezze antiche, era protetto lateralmente da un Corpo di Guardia,
munito di feritoie e ricavato nella nuda roccia del costone.
Venne, tra l’altro, eretta la Garitta del Diavolo, ottimo e
panoramico punto di osservazione realizzato a strapiombo sulla cima di una
rupe, alta oltre 20 m., che sovrasta il Forte Tre Denti ed è raggiungibile
percorrendo una ripida e stretta scalinata a sei rampe.
Curiosa è l’origine del nome: durante i lavori di costruzione
dell’osservatorio, l’opera che i manovali innalzavano durante il giorno veniva
improvvisamente smantellata durante la notte ed ogni mattina gli operai
ritrovavano un cumulo di macerie al posto della costruzione. Ovviamente tali
eventi furono attribuiti al diavolo, mentre invece pare fossero (più umanamente)
alcuni abitanti di Fenestrelle che non volevano un forte ed i militari vicino
alla loro casa.
FORTE DELLE VALLI
Il complesso del Forte delle Valli, composto dalle ridotte
Belvedere, Sant’Antonio e dell’Elmo, è la più risalente di tutto il complesso,
in quanto da qui iniziarono i lavori di costruzione dell’opera.
La ridotta Belvedere è la più estesa e completa delle tre: è
collegata dalla Scala Coperta e da quella reale. Da quest'ultima
originariamente si accedeva alla Porta Reale attraversando un ponte levatoio,
costituito da tre parti, una sollevabile e due fisse, costituite da passerelle
in legno di larice poggianti su due alti muri battiponte che si ergono ancora
per quasi 10 metri dal fossato sottostante. All'interno dell'edificio è ancora
visibile il pesante bilanciere a travi in legno che azionava la breve levatoia
con l'ausilio di contrappesi. Questa costruzione è chiamata anche il tempietto
per la presenza di elementi decorativi «classici» che le conferiscono un
aspetto tipico degli edifici religiosi. Sopra il portale ad arco a sesto
ribassato, è incisa la scritta “Forte Valli, quota 1727 m”. Non distante dalla
Porta Reale si trovano il magazzino delle polveri ed il Corpo di Guardia a tre
piani. L'organizzazione interna della polveriera è identica alla polveriera
Sant'Ignazio. Dietro alla polveriera si trovano i tre quartieri, molto simili a
quelli del Forte San Carlo, con tre piani fuori terra e due piani seminterrati.
Nei piani superiori vi erano le camerate per i soldati (gli ufficiali dormivano
nel III quartiere, organizzato internamente in stanze più piccole ed arricchito
nella facciata a sud da tre stupende balconate in pietra). Nei piani inferiori,
oltre ai magazzini, vi erano le cucine (con due forni in mattoni e due
calderoni), i refettori e le due cisterne idriche, l’una da 100 mila litri
d'acqua, l’altra da 280 mila litri. Di particolare bellezza è la cappella in
testa al III quartiere, con facciata barocca in granito giallo.
La Ridotta Belvedere aveva in dotazione 20 pezzi d'artiglieria, di
cui 7 posti in casamatta sul fronte occidentale e sud-occidentale, e gli altri
in piazzole a cielo aperto, distribuiti sull'intero perimetro. La Ridotta
Belvedere comunica con quella successiva, la ridotta Sant'Antonio, tramite un
ponte fisso centrale ed una coppia di ponti levatoi laterali a «caponiera»; a
sua volta questa ridotta è collegata con quella superiore, l'Elmo, con altri
tre ponti analoghi a questi. In due dei quattro ponti a caponiera è stato
rifatto da alcuni anni l'assito in legno, per consentire la visita guidata
anche della porzione superiore del complesso fortificato.
La ridotta Sant'Antonio è di dimensioni modeste, consta di un
unico fabbricato per metà ricavato nella roccia viva e comprendente una
polveriera e otto stanzette per l'esigua guarnigione, inoltre, sul tetto a
terrazza erano postati due mortai o pezzi di piccolo calibro.
La ridotta dell'Elmo (il cui nome deriva, per analogia, dal fatto
che, come un elmo, protegge la testa della struttura) ha una facciata molto
simile a quella della Sant'Antonio munita di cinque finestre difese da robuste
sbarre in ferro e di un piccolo portale ad arco a tutto sesto, preceduto da un
terrazzino di accesso. È questo l'unico ingresso alla ridotta, che è sormontata
da sette casematte sul lato ovest.
Una «doppia tenaglia gigliata»
conclude in cima la fortezza, circondata tutt'intorno da un camminamento con
postazioni per fucilieri e collegata alla strada di Pra Catinat dal “Ponte
Rosso”. Una galleria interna conduce ancora oggi alla Scala Coperta che,
quindi, dal Forte San Carlo giunge al punto più alto del fortilizio.
BATTERIE E RIDOTTE
Nel tratto compreso fra il Forte Delle Valli e il Forte Tre Denti,
all'interno del poderoso muraglione contenente la Scala Coperta e fungente da
elemento di unione e sbarramento, furono installate altre opere militari per
potenziare la capacità di difesa: le Batterie dello Scoglio e dell'Ospedale e
le Ridotte Santa Barbara e delle Porte. Postazioni intermedie, di dimensioni
contenute, ma fondamentali nel sistema di difesa generale.
Partendo dal basso, poco dopo il Forte Tre Denti, si raggiunge la
batteria dello Scoglio, contraddistinta dalla presenza di tre piazzole a cielo
aperto poste a scalare lungo il pendio, sopra le quali erano piazzati cannoni o
mortai, nonché di un unico basso e modesto fabbricato che fungeva da magazzino
e da stazione ottica.
Successivamente si incontra la Ridotta Santa Barbara (1550 m),
composta da un edificio in pietra, di forma tronco piramidale, con mura assai
inclinate e spesse anche 6 metri, addossato su due lati nella montagna. Il
fabbricato è su due piani: al piano superiore dormiva la guarnigione, al piano
terreno un grosso locale, corredato di caminetto in pietra, fungeva da
refettorio e magazzino.
Un pozzo consentiva di prelevare l'acqua dalla sottostante
cisterna tuttora colma d'acqua ed una galleria interna conduce ancora oggi alla
Scala Coperta.
Elemento caratteristico è il collegamento con la strada dei
cannoni della Santa Barbara, che avviene tramite un ponte levatoio.
La Ridotta Delle Porte (1680 m) è leggermente più grossa ma molto
simile alla precedente sia per distribuzione interna dei locali, sia per forma
esterna ed impianto tipologico, sia per la presenza di due postazioni
d'artiglieria in barbetta sul tetto e del montacarichi per i proiettili. La
ridotta è preceduta da una polveriera di 36 mq con accesso indipendente dalla
Scala Coperta, edificata ad est sul versante protetto del crinale.
Infine, a breve distanza, si trova la
batteria dell'Ospedale, postazione che presenta due piazzole di tiro ed una
riservetta per munizioni inserita nella galleria che conduce alla Scala
Coperta. Nel secolo scorso, le cannoniere delle due aree di tiro furono
modificate per poter adeguatamente ospitare le mitragliatrici Gardner il cui
compito era quello di proteggere da vicino il sottostante fossato con tiro
«d'infilata» (radente alle mura). La batteria dell'Ospedale deve probabilmente
il suo nome ad un vicino casermone utilizzato come ospedale, costruito però
fuori dalle mura, sul lato nemico.
I RISALTI
I risalti sono quei gradoni giganti, posizionati sul lato
francese, visibili strategicamente anche da molto distante che
contraddistinguono il fortilizio di Fenestrelle e formando una “gradinata
|
Hanno inizio dalla «doppia tenaglia di Sant'Ignazio», estrema
struttura posizionata a sud-ovest che delimita e protegge inferiormente il
forte S. Carlo e la sua porta reale.
All'interno dei Risalti erano posizionate le artiglierie per la
difesa attiva della fortezza: cannoni, mortai, obici di varie dimensioni e
potenza (e in ultimo anche mitragliatrici Gardner). La maggior parte dei
Risalti (22) sono piazzole a cielo aperto delimitate da quattro alte mura, con
muri di cortina traforati di cannoniere e feritoie per i fucilieri, mentre i
restanti sei Risalti furono dotati, nell'800, di casamatte, cioè di postazioni
per artiglierie chiuse da una copertura voltata a prova di bomba.
LA SCALA COPERTA
Con i suoi 3996 gradini è nel suo
genere uno degli elementi più caratteristici della piazzaforte ed unica in
Europa. Larga 2,10 m e alta 2,35 con muri spessi oltre 2 m, illuminata da
strette feritoie che garantiscono pure il ricircolo dell'aria, essa si snoda
per quasi 2 km, con un dislivello di 530 m, all'interno di una galleria
artificiale, collegando un forte con un altro e tutte le sezioni fra di loro.
Cinque duplici ponti levatoi («trabocchetti») potevano bloccarne il percorso ed
isolare le singole parti. In caso di necessità, i due tavolati, incernierati
con una parte fissa centrale, venivano issati verticalmente tramite catene che
scorrevano lungo delle carrucole murate alla volta, scoprendo il fossato colmo
d'acqua e profondo 5 - 6 metri. Era una strategica via di comunicazione
soprattutto in caso di avverse condizioni climatiche o di eventuali aggressioni
nemiche, poiché, nonostante la ripidità di alcune rampe, poteva essere percorsa
anche da muli e da grossi carichi trainati o frenati dai grossi anelli fissati
alle pareti. In corrispondenza del Forte Tre Denti alla Scala Coperta
principale, per un breve tratto, se ne affianca una seconda, di quasi 300
gradini, illuminata solo da lunette poste in alto. Essa termina sul terrazzo poco
sopra la Garitta del Diavolo dove ha inizio «la Scala Reale»: una via a cielo
aperto di 2500 gradini.